Quando ci si trova davanti a una opera d’arte contemporanea molte volte si rimane confusi e spiazzati, perchè quello che vediamo non è chiaro, può essere sconvolgente e il suo significato è celato; la comunicazione, spesso non verbale, dell’arte è un vero mistero.
La pittura, la scultura e la maggior parte delle arti visive sono fatte di immagini, nei quadri esiste proprio una semiotica delle forme, dove i monemi ed i fonemi giocano un ruolo cardine a volte misterioso come nelle opere di Magritte e Velàzquez.
Nel caso della performance, quelli che giocano un ruolo fondamentale sono l’artista e l’atto artistico nato dall’incontro tra pubblico e l’artista stesso.
Ecco perché ho scelto di raccontare di Marina Abramovic, madre della performance, sacerdotessa di questa espressione artistica, una vera e propria grande Madre. Madre mancata di tre figli, sacrificati per la sua arte, amante tradita che ha trasformato la separazione dal suo grande amore Ulay in un’azione artistica, durata oltre tre mesi, dove i due si lasciano dopo aver fatto un pellegrinaggio sulla muraglia cinese, incontratisi a metà strada si separeranno per sempre, o almeno questo è quello che ci hanno fatto credere per circa vent’anni fino a quando …
Era il 2010 e Marina pensa a una performance che durerà per tre mesi all’interno delle sala principale del MOMA di New York; in The Artist is present l’artista è presente, seduta in mobile per sette ore, per l’occasione si fa cucire tre vestiti di lana per restare calda, ogni mattina il museo apre le porte ai suoi visitatori e lei è seduta su quella sedia di legno semplice dalla forma rigorosa e pulita, davanti un tavolino ed un’altra sedia.
Altri modi di comunicare
Quella che si va a mettere in scena è una azione artistica ineguagliabile, uno scambio costante, un interloquire intenso che scava e riempie occhi e cervello.
Marina non dice una parola, nessuna parola eppure tu sei invitato a sederti e quella sedia è un magnete fortissimo, le tue carni si appoggiano, lei apre gli occhi e inizia il dialogo: ma quale se nessuno parla?
Il pubblico osserva se stesso e tu stesso diventi osservatore, ascolti e quello che viene non detto puoi solo immaginarlo o percepirlo, perchè delle vite degli altri non si conosce nulla.
Marina ci invita ad esplorare altri modi di comunicare, veicolare messaggi che le vocalizzazioni della voce non riescono ad esprimere e le reazioni sono tantissime, chi sorride, chi sospira e chi si commuove e lei si spinge al limite.
Marina e Ulay
Arriva sull’orlo del precipizio emotivo quando la sedia di fronte a lei è vuota, abbassa la testa e chiude gli occhi per ossigenare le idee e riposarsi, ma dalla folla parte un brusio, le persone si scansano e lasciano passare un uomo alto e snello vestito di nero che si siede sistemandosi la giacca.
Marina alza lo sguardo, apre gli occhi e poi li spalanca e, in totale silenzio, sorride e iniziano a scendere copiosamente delle lacrime, Ulay davanti a lei sorride e inclina la testa, erano vent’anni che non si vedevano. Lui l’aveva tradita con la sua assistente, querelata e fatta a pezzi sentimentalmente, avevano condiviso dodici anni di sodalizio sentimentale, sessuale e artistico, avevano vissuto in un furgone portando in giro il loro fare arte.
Ulay era per Marina famiglia, amore e figlio, quanta sofferenza e quanto rancore eppure, nel 2010 davanti al mondo dell’arte, lei rompe le regole della performance che si era autoimposta e allunga le mani per prendere quelle del suo ex amante, i due finalmente si ricongiungono.
Donna capace di spingere la sua emotività e fisicità verso limiti inesplorati, attraverso il proprio corpo, Marina Abramović realizza atti artistici ricchi di vitalità, pieni di sfrenata esaltazione, entusiasmo e di dolore.
Il suo è un modo di approcciarsi alla vita e alle relazioni umane ricorrendo a un lessico da profeta postmoderna – e in questa prospettiva l’arte – non è sapienza tecnica, abilità manuale, e non richiede esercizio dello sguardo, ma si fonda sull’empatia e sullo scambio di tensioni interiori.
Il silenzio
Nella sua performance è fondamentale il silenzio che è negazione e sparizione parziale ed è anche una diversa forma di sonorità, è qualcosa che si oppone al rumore, senza annullare il linguaggio. Ha la capacità di precedere, e di contenere, ogni cifra. È un attimo, che va posto sempre in relazione con qualcosa, lo si trova in un intervallo prolungato, è l’esito radicale di un brusio, che diviene indistinto.
L’Artista è convinta che sia possibile comunicare tra gli individui senza parole. Solo trasmettendo energie.
Andate a guadarla… negli occhi.
Dal 21 settembre una grande mostra le sarà dedicata a Firenze, all’interno di Palazzo Strozzi si potrà ammirare una retrospettiva su questa artista, con un focus particolare proprio sul suo metodo e sulle sue più emblematiche performance.
Prendetevi tempo, datevi spazio e andate a guardarla negli occhi.