Le regioni cerebrali attivate dai like si sovrappongono a quelle attivate da gratificazioni non sociali come il cibo.
Sarà per questo che i social network ci hanno resi bulimici?
Consumiamo golosi tonnellate di contenuti junk, guidati dal potere del rinforzo intermittente – la tecnica a ricompensa causale che tiene incollati anche alle slot machine, per capirci – tra like dopaminergici, approvazione sociale e notifiche di richiamo.
E poi, da bravi bulimici, vomitiamo.
Di tutta quella roba che abbiamo ingurgitato, a suon di swipe e scroll, ci rimane ben poco.
Non ci siamo nutriti, abbiamo solo consumato, il nostro tempo e la nostra attenzione.
Allora ci diciamo che abbiamo bisogno di una dieta, nel senso etimologico di “stile di vita”, una sana e corretta assunzione di contenuti che ci guidi con discernimento al sapere.
Tutto giusto, ma come facciamo a riconoscere un post prodotto in serra, magari da qualche bucolica Al, da uno di stagione, coltivato con semenza di prima qualità?
Come possiamo passare da una mind full of “robaccia” a una consapevole mindfulness?
Indagando, approfondendo, usando la testa.
Perché se è vero che “siamo quello che mangiamo” dobbiamo imparare a scegliere e selezionare con cura quello che consumiamo, per fare in modo che i nostri pensieri, il nostro sentire e le nostre azioni siamo alimentati con ingredienti davvero in grado di potenziarci.
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